
Non so se sia un meccanismo logico, stupido o entrambe le cose; ma ogni volta lo dimentico, e perciò ogni volta ci ricasco.
Non appena mi ritrovo lì, solo allora mi torna in mente all’improvviso che quel posto mi ricorda qualcosa, e che ci devo fare i conti. Dove “farci i conti” significa interpellare contemporaneamente: la biologia, la psicologia, la filosofia, la geometria, la balistica e la tattica militare.
Questo luogo rivelatore è la salle de spectacle, per usare un termine estensivo che includa cinema, teatri, sale concerto. Dove si sta al buio tra le persone, si gioisce e ci si dimentica un po’ di sé.
Un luogo che ancora segna la differenza tra me e gli altri, e che mi questiona sul controverso problema della scelta: sì/no. Vivere o lasciarlo fare ad altri. Tornare a fidarsi o chiudersi ermeticamente.
Perché io una sera di novembre ero a un concerto, sorridevo, e questo concerto è iniziato come tale, con chitarre e batteria, e si è concluso come assassinio di massa, con gli AK-47.
Ho ricominciato a frequentare le salle de spectacle abbastanza da subito, circa una settimana dopo, quando ero ancora completamente dissociata e sotto shock. Mi dicevano che ero coraggiosa. Io invece mi sentivo uno schifo, perché certe serate erano la mia passione e ora quella passione mi terrorizzava. Avevano intaccato il mio spazio preferito di godimento personale, e questo mi rivoltava più di tutto. Però odiavo l’idea stessa del rinunciare a qualcosa per paura, e allora mi imbottivo di tranquillanti e ci andavo lo stesso, come sotto anestesia. Non volevo sentirmi sconfitta, era una lotta proprio fisica. Sul mio viso ho visto comparire delle rughette che non c’erano mai state, piccoli segni eloquenti che silenziosamente dicevano quanto fossi esausta, quanto pesasse la fatica di decidermi tra: uscire là fuori e continuare la mia vita di sempre, o rinunciare a mischiarmi tra la folla e far vincere loro.
Sono passati due anni e mezzo e la questione si è fatta ancora più subdola, perché ogni volta che mi invitano per un film, per uno spettacolo o per una serata musicale, presa dall’entusiasmo dico sì istintivamente. Perché questa sono io, e perché i brutti ricordi si sono fatti più lontani e non sempre si preannunciano in tempo. Quindi tutto fila liscio finché non mi ritrovo di nuovo sulla mia bella poltroncina di velluto. Allora realizzo. Potrebbe succedere qualcosa. Ma ormai lo spettacolo inizia. Andarmene? Restare? È solo nella mia testa. Giusto? Inizia la battaglia. Identifico le uscite di emergenza, ma poi mi rifiuto di spostarmi più vicino a una di esse e me ne rimango ben piantata nella mia poltroncina centrale, perché cazzo, non voglio passare il resto della mia vita accanto all’uscita di emergenza, non è giusto. Non voglio godere solo parzialmente, soprattutto se per colpa non mia. Cerco di resistere, con tutti i sensi all’erta.
A volte compio strani riti. Una volta durante un intervallo mi sono ritrovata alla toilette, in piedi sul wc, a tastare ed esaminare il controsoffitto per capire se sarei stata in grado di romperlo e issarmi lassù per nascondermi. Mi guardavo dal di fuori e mi facevo un pat pat virtuale sulla spalla, mi veniva anche un po’ da ridere, ma non potevo evitarlo. Altre volte tutto sembra tranquillo ma poi si sa, lo spettacolo ama il sangue, e quindi eccomi ad assistere a spari, feriti, morti. A teatro poi non vi dico. Averli lì, sotto i miei occhi. Immobili, con i vestiti macchiati di rosso. Di nuovo. E io con gli occhi sbarrati, a guardare in silenzio, come un gufo congelato. Chiedendomi se per caso non sia reale, perché quella volta dopotutto mi chiedevo se non fossimo in un film. Come si fa a distinguere?
Poi però ieri è successa una cosa.
Ero al cinema con A., volevo che vedesse per la prima volta 2001: Odissea nello spazio, sperando che lo avrebbe amato quanto me.
Solita scena: sedevo nell’oscurità rinnovando ogni minuto quell’atto di fiducia che mi faceva restare in sala. Avete presente quel pezzo verso la fine del film, in cui tutto si trasforma in un trip psichedelico verso nuovi pianeti? Ecco, per me quella scena è forse la più meravigliosa che si possa mai vedere su grande schermo. Colori, suoni, musiche, il Viaggio, la Scoperta. Tutto quel che serve. Ero completamente rapita, in estasi. Vibravo dal piacere, mentre il mio amore mi teneva la mano e me la accarezzava.
E in quel momento non contavano più i ricordi terribili: ero grata, e in quella visione in movimento e in quella mano nella mia stavo riuscendo a essere felice. Realizzavo che era quello l’essere adulti, l’avere vissuto: non un benessere inconsapevole, ma una felicità imperfetta, la consapevolezza che la vita è anche – o soprattutto – questo, rischio e accettazione, fiducia e speranza. Che si va avanti, ognuno con la propria poltroncina di velluto e i propri mostri da far stare buoni.
Per la prima volta non mi sentivo così diversa da tutti gli altri. Di sicuro chiunque aveva una sua lotta, anche se non si vedeva. Ho pianto di sollievo in silenzio, perché era tutto (im)perfetto, vivo, speranzoso e un po’ eroico come il viaggio oltre i propri limiti che colorava tutto lo schermo, e andava bene così.
Io evito. Ci sono due posti dove ho avuto un incidente stradale. Se posso cambio strada.
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Ti abbraccio lucy
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❤️
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Ciao Lucy e grazie per la condivisione della tua storia. Sei ospite di Orme Svelate tutte le volte che vuoi. In questi giorni sono a Parigi per un congresso e quando penso alla storia di cui sei stata testimone, mi vengono i brividi…
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Grazie mille Daniele. Ogni tanto mi fa bene tornare lì col pensiero, per andare avanti. 😘
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Grazie a te, un abbraccio forte 😘
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Mentre leggevo, ho percepito la paura. Lo sgomento. Il terrore.
Penso sia una delle esperienze più devastanti che una persona debba affrontare.
E quando sembra difficile trovare un appiglio, una soluzione, ecco.
Un gesto dall’apparenza così semplice, come la tua mano racchiusa fra quelle del tuo compagno, riporta “ cemento”, là,dove, si era tutto sgretolato…
Grazie.
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Grazie a te per il commento 🙂
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Lucy the Wombat GRAZIE per due cose: aver regalato le tue percezioni così crude e per avermi fatto conoscere Wombat di cui ignoravo l’esistenza.
Ti seguirò.
Una carezza da me. G.
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Grazie Giada 😘
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Una esperienza terribile, difficile da sconfiggere ma che ti ha e ci ha regalato forza e speranza: complimenti vivissimi e grazie per aver scelto di raccontarla.
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Grazie a te per averla letta 🙂
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Ciao un abbraccio, Monica
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Thanks to Lucy for having the courage to tell us about this terrible experience!
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