
Una nuova pubblicazione suggerisce che livelli più alti del normale di un enzima coinvolto nella prevenzione del coagulo di sangue possono essere un fattore di rischio comune per lo sviluppo di COVID-19, una malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, in alcune popolazioni. La recensione è pubblicata in Physiological Reviews. Le persone con diabete, ipertensione e malattie cardiache, polmonari o renali hanno un rischio maggiore di sviluppare COVID-19. Inoltre, le persone con condizioni mediche preesistenti in genere diventano più malate quando infettate con SARS-CoV-2 rispetto a quelle in buona salute. La ricerca ha scoperto che una delle principali cause di morte per COVID-19 è l’emorragia o i disturbi emorragici e che una delle caratteristiche della malattia è l’iperattività del sistema responsabile della rimozione dei coaguli di sangue (iperfibrinolisi). Livelli elevati di plasminogeno e plasmina sono stati trovati essere un fattore comune nelle persone con diabete e preesistenti patologie cardiache, polmonari e renali. Il plasminogeno è una sostanza inattiva nel sangue. Quando le sostanze nelle cellule dei vasi sanguigni attivano il plasminogeno, questo genera plasmina, un enzima che rimuove i coaguli di sangue dal sangue. Livelli più elevati del normale di entrambi questi prodotti chimici possono causare gravi emorragie. Gli studi riportano che oltre il 97% delle persone ricoverate in ospedale con COVID-19 ha livelli aumentati di D-dimero, una proteina nel sangue che viene prodotta quando un coagulo di sangue si dissolve. I livelli di D-dimero sono associati alla quantità di virus rilevata nel corpo e continuano ad aumentare con l’aumentare della gravità di COVID-19. Ciò è particolarmente vero nelle persone che sviluppano la complicazione spesso fatale della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Al contrario, i livelli di D-dimero sono diminuiti ai livelli di controllo nei sopravvissuti [COVID-19] o nei pazienti non-ARDS. Il tempo per il D-dimero elevato per andare giù in casi lievi o sopravvissuti è variabile. In generale, ci vuole almeno una settimana per i casi lievi ma più a lungo per i pazienti gravi. Le misurazioni dei livelli di plasmina e la sua attività enzimatica possono essere importanti biomarcatori della gravità della malattia nelle persone con COVID-19. Inoltre, il trattamento dell’iperfibrinolisi potrebbe rivelarsi una strategia promettente per migliorare i risultati clinici dei pazienti con condizioni mediche aggiuntive.
Daniele Corbo
Bibliografia: “Elevated Plasmin(ogen) as a Common Risk Factor for COVID-19 Susceptibility”. by Hong-Long Ji, Runzhen Zhao, Sadis Matalon, and Michael A. Matthay. Physiological Reviews
Immagine: The image is in the public domain.
Quindi la sperimentazione con eparina?
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Proprio ieri leggevo sul sito del ministero che riguardo al trattamento dei pazienti con Covid-19 con le eparine a basso peso molecolare, nel razionale della sua scheda tecnica l’Aifa indica che l’uso delle EBPM si può collocare sia nella fase iniziale della malattia che nella fase avanzata. Nella fase iniziale, quando è presente una polmonite e si determina una ridotta mobilità del paziente con allettamento, l’eparina potrà essere utilizzata a dose profilattica allo scopo di prevenire il tromboembolismo venoso. Nella fase più avanzata della malattia, in pazienti ricoverati, per contenere i fenomeni trombotici a partenza dal circolo polmonare come conseguenza dell’iperinfiammazione dovuta alla malattia, le EBPM dovranno essere utilizzate a dosi terapeutiche.
L’Aifa sottolinea però nella scheda tecnica che “poiché l’uso terapeutico delle EBPM sta entrando nella pratica clinica sulla base di evidenze incomplete e con importanti incertezze anche in merito alla sicurezza, si sottolinea l’urgente necessità di studi randomizzati che ne valutino efficacia clinica e sicurezza”.
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Non mi è chiara una cosa, forse non ho compreso bene: se lo studio precedente evidenzia che una delle possibili cause è un problema di anti coagulazione, con l’utilizzo di ‘eparina, non si rischia un peggioramento?
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Forse sono stato poco chiaro io. Lo studio riporta che oltre il 97% delle persone ricoverate in ospedale con COVID-19 ha livelli aumentati di D-dimero. Si assume ipso facto che un D-dimero alto sia segnale di una coagulazione sregolata dalla massiccia presenza di citochine infiammatorie. Il trattamento (e la prevenzione) con anticoagulanti viene, però, oggi proposto nella Covid-19, proprio perché la polmonite da SARS-CoV2 può essere complicata da una coagulopatia, la cui frequenza specifica e il cui impatto prognostico sono oggetto di studio da parte dei ricercatori di tutto il mondo.
I ricercatori cinesi di Wuhan hanno pubblicato il 3 aprile un confronto retrospettivo tra le caratteristiche del quadro clinico di 449 pazienti positivi al coronavirus e ricoverati per polmonite fino alla metà di febbraio e quelle di 104 pazienti ricoverati nello stesso ospedale l’anno precedente, per polmonite da altri patogeni.
La mortalità dei pazienti Covid-19 era doppia di quello dei non Covid-19 (29,8% vs 15,4%) e riguardava un’età di circa 5 anni maggiore.
I pazienti che avevano un D-dimero >3,0 μg/mL, se messi in trattamento per 7 giorni con eparina, avevano una mortalità a un mese più bassa di quella dei non scoagulati (32,8% vs 52,4%); il beneficio non si applicava ai pazienti con polmoniti non Covid-19 né a quelli Covid-19 in cui il D-dimero non era alto.
Come anticoagulante a Wuhan hanno usato le eparine a basso peso molecolare sia per le loro ipotizzate proprietà antinfiammatorie sia per l’indisponibilità, in Cina, dei nuovi anticoagulanti.
L’efficacia del trattamento eparinico è, comunque, anche in questo studio, confinata a un gruppo selezionato di pazienti.
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Rileggendo l’articolo e le risposte, mi sono resa conto dei punti che non avevo compreso. Grazie per l’attenzione e le spiegazioni esaustive
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Prego, anzi mi scuso per essere stato poco chiaro nell’articolo. Buona serata
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Buona serata
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