
Le circostanze della vita durante l’infanzia, tra cui avere meno amici e fratelli, relazioni di scarsa qualità con i genitori, cattiva salute e crescere in una famiglia più povera, sono tutte correlate a un più alto tasso di solitudine in età avanzata, secondo un nuovo studio pubblicato questa settimana nella rivista ad accesso aperto PLOS ONE da ricercatori dell’Università di Economia e Commercio di Vienna, Austria.
La solitudine è stata un argomento di crescente interesse nell’ultimo decennio, poiché è stato dimostrato che è collegata a problemi di salute e aumenta con l’età. La solitudine è correlata a un rischio più elevato di sviluppare condizioni mentali, a un deterioramento della salute fisica ed è legata alla mortalità e a un maggiore utilizzo dell’assistenza sanitaria. Nel nuovo studio, il gruppo di ricerca ha utilizzato i dati dell’ampio sondaggio transnazionale sulla salute, l’invecchiamento e la pensione in Europa (SHARE), che raccoglie informazioni da individui di tutta Europa di età pari o superiore a 50 anni sulla salute, lo stato socioeconomico e le reti sociali e familiari . La solitudine è stata misurata con la scala di solitudine R-UCLA.
I ricercatori hanno scoperto che mentre la cattiva salute è il fattore principale correlato alla solitudine in età avanzata, spiegando il 43,32% della varianza nella solitudine, il supporto sociale in età avanzata rappresenta anche il 27,05% della varianza, i tratti della personalità rappresentano il 10,42% e le circostanze della vita durante conto dell’infanzia per il 7,50%. Le probabilità di solitudine di età pari o superiore a 50 anni erano 1,24 volte più alte per le persone che raramente o non avevano mai avuto amici durante l’infanzia rispetto a quelle che avevano più spesso amici, 1,34 volte più alte in coloro che avevano un rapporto giusto o scarso con la madre da bambino rispetto a quelli con un ottimo rapporto materno, e 1,21 volte superiore quando si è cresciuti in una famiglia con scarsa ricchezza rispetto a quelli in una famiglia benestante. La solitudine era più comune negli individui con una personalità nevrotica (OR 1,20) e meno comune in coloro che avevano punteggi elevati per coscienziosità, estroversione, gradevolezza e apertura.
I risultati di questo studio confermano l’importanza delle reti sociali e del supporto in età avanzata, nonché il ruolo dei tratti della personalità e delle circostanze dell’infanzia. Conclude che gli interventi precoci sono fondamentali per prendere di mira la solitudine successiva e che gli interventi volti ad aumentare il supporto sociale in età avanzata devono essere adattati a tutti i tipi di personalità. Lo studio rileva, come previsto, che lo stato di salute e il supporto sociale in età avanzata sono i due principali fattori correlati alla solitudine all’età di 50+ anni. È interessante notare che lo studio rivela che i tratti della personalità e le circostanze della vita durante l’infanzia sono significativamente associati alla solitudine più avanti nella vita, dopo aver controllato un ampio insieme di condizioni di vita successive. Alla luce della tendenza all’aumento della solitudine infantile e dell’impatto della pandemia di COVID-19 sulla vita dei bambini, i risultati di questo studio confermano l’importanza degli interventi nella prima infanzia per affrontare l’effetto a lungo termine sulla solitudine.
Daniele Corbo
Bibliografia: “Loneliness among older adults in Europe: The relative importance of early and later life conditions” by Sophie Guthmuller et al. PLOS ONE
Immagine: Loneliness (Federica Gionfrida)
L’infanzia condiziona tutta la nostra vita su diversi aspetti
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tantissimo, più di quanto crediamo..
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Della parte in grassetto ho vissuto di tanto e di più ma nulla di tutto quello m’ha portato alla sospettata solitudine. Ho sofferto di solitudine, invece, tanto quanto il mio fare non giustificava il mio essere, o l’essere non giustificava il fare. Giustificati e collegati, non so cosa sia la solitudine pur essendo vecchio e pur non avendo compagnie. Non soffro di solitudine, infine, perché come compagna di compagnia c’è la mia storia, e perché, non dipendendo da nessun sentimento fissatore di stato e/o di vita, non mi manca nessuno. 🙂 Vecchiaia veramente sola è quella di chi non supera il lutto per la morte della personale vitalità se accettiamo che l’idea di morte non consista solo nella definitiva cessazione del respiro.
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Ovviamente essendo uno studio non implica una conseguenza inevitabile, ma un aumento della probabilità. Detto questo, la solitudine non è collegata tanto ad una serie di fattori esterni, ma soprattutto ad dinamiche interiori che rielaborano la propria storia in modo tale da sbilanciare il proprio sentire verso sensazioni negative di solitudine. Inoltre condivido assolutamente la frase “Vecchiaia veramente sola è quella di chi non supera il lutto per la morte della personale vitalità se accettiamo che l’idea di morte non consista solo nella definitiva cessazione del respiro.”
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Ma! Non escludo la sua opinione sulle origini della solitudine ma non la trovo convincente. Poichè il sapere non è disgiunto dal sentire, infatti, come sostenere prevalenti le “dinamiche interiori” sulle esteriori? Nell’augurarmi di averla capita la saluto. Vitaliano
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Intendevo la solitudine studiata nell’articolo citato, non in generale. Cordiali saluti, Daniele
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Ops! 😦 🙂
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